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I Pellegrino di San Dimitri

I Pellegrino di San Dimitri

Le inchieste dell’ispettrice Menegaux/6

 

 

In genealogia quando si vuole ricostruire un albero e ricollegarsi a un eventuale blasone è assolutamente sconsigliato procedere a rovescio; ma dopo essere entrata per sbaglio dal sito ancestry nell’albero di Jolanthe de Montfort che risale fino a Carlo Magno e avere enormemente invidiato i suoi numerosi ascendenti effigiati in quadri con parrucche e colli svolazzanti – a proposito, avete notato che nelle famiglie nobili tutti quelli che si sposano hanno prole? immagino che ci sia stato nei secoli un apporto sostanzioso da parte di femmes de chambre e giardinieri… -

la mia smania di emoglobina blu è tale che per una volta ho proceduto scorrettamente, ricercando nel 1700 dei nobili omonimi dei miei antenati e poi tentando di incollarli malamente al mio albero familiare. Un po’ come quei jeans “Luvi’s” o “Wranglet” che compravamo da ragazzi al Ponte di Casanova e che sfoggiavamo nelle nostre tournées trappane al Vomero, illudendoci che nessuno si accorgesse della grossolana contraffazione.

L’indizio di partenza è una frase della nonna Margherita Pellegrino, che ad una domanda sul suo cognome mi rispose con molta serietà che si trattava di un cognome importante e che un tempo c’erano in Sicilia i Pellegrino di San Dimitri.

Questo mito è rimasto avvolto nelle nebbie per parecchi anni, poi mi sono decisa a indagare.

Dunque, procedendo al contrario contro ogni buona norma come abbiamo detto, nel nobiliario di Sicilia risultano dalla fine del 1600-inizio 1700 dei baroni Pellegrini di San Dimitri: Salvatore, Domenico, Giovanni, con feudo in Lentini.

Ne risultano altri con cariche onorifiche e politiche: dei senatori, un acatapano nobile in Catania, ecc.

Tranne Salvatore, gli altri nomi ricorrono anche nella mia famiglia: Giovanni, Giuseppe, Domenico che è tradizionalmente il nome del primogenito. Risulta anche una Carmela Pellegrino, omonima di una mia antenata, sposata con un principe Moncada di Paternò. Nicolosi era d’altronde un feudo dei Moncada di Paternò.

Per una volta mi permetto un saccheggio dal lavoro altrui, un copia e incolla che mi risparmia la rielaborazione. Ma correttamente cito le fonti (i grassetti sono miei):

 

Dal Nobiliario di Sicilia, del Dott. A. Mango di Casalgerardo:

 

Pellegrino o Peregrino.

 

Godette nobiltà in Palermo, Messina, Catania, ecc., passò all’ordine di Malta sin dal 1422 nel quale anno venne ricevuto un Filippo. – Un  Bartolomeo fu giudice di Messina nel 1311; un Pietro, da Messina, giudice della Gran Corte, ottenne a 16 gennaio 1397 concessione di un uliveto grande nel territorio di Palermo; un Nicolò fu vice secreto in Sutera nel 1409; un Bernardo fu giudice delle appellazioni in Messina nel 1422-23; un Dionisio fu senatore in Palermo nel 1425-26; un Tommaso Matteo fu senatore in Messina nel 1514-15; un Cesare, un Francesco, un Giovan Pietro e un fra Vincenzo sono annotati nella mastra nobile del Mollica; un Nicolò Antonio fu senatore in Messina negli anni 1579-80, 1584-85; un Giovan-Francesco tenne la stessa carica negli anni 1585-86, 1587-88; un Giuseppe la tenne nel 1597-98; un Pellegrino acquistò il feudo Campobianco che, nel 1601 donò a Gaspare Orioles; un Lucio fu senatore di Messina negli anni 1613-14, 1621-22, 1630-31; un Vincenzo tenne la stessa carica nel 1616-17; un Pietro la tenne negli anni 1644-45, 1647-48, 1651-52; un Vincenzo del fu Lucio ed un Vincenzo del fu Pietro la tennero negli anni 1661-62-63; un Giovan Francesco la  occupò negli anni 1652-53, 1663-64, 1668-69, 1672-73, 1676-77; un Pietro nell’anno 1709-10; un Salvatore acquistò, da casa Gioeni nel 1711, il  feudo di San Dimitri in Lentini; un Vincenzo fu senatore in Messina nel 1721-22; un Ignazio fu giudice della corte pretoriana in Palermo nel  1735-36. un Salvatore Pellegrino e Crescimanno, barone di S. Dimitri, a 17 febbraio venne aggregato alla mastra nobile di Catania, ed occupò in detta città nel 1770-71 la carica di capitano di giustizia e nel 1775-76 quella di patrizio; un Giuseppe Pellegrino e Caldarera fu acatapano  nobile in Catania nell’anno 1798-99; un Domenico, barone di S. Dimitri,  fu senatore in Catania nel 1798 e 1799.

 

Arma: d’azzurro, al braccio armato d’oro, movente dal canton sinistro dello  scudo e tenente un falcone pellegrino dello stesso.

 

Alias : d’azzurro, al leone d’oro, vestito col mantelletto di pellegrino di nero, appoggiato al bordone del secondo.

 

Il trisnonno di mia nonna si chiamava Domenico Pellegrino, come l’ultimo barone di San Dimitri.

La loro era certamente una famiglia di proprietari terrieri e data l’agiatezza di cui godevano ancora dopo varie generazioni si può supporre che all’origine vi fossero proprietà molto cospicue, poi frazionate con le varie successioni. Anche il modo di vita spensierato, con passatempi costosi come la fotografia, fa pensare agli ultimi sprazzi di uno stile di vita nobiliare, da nobiltà rurale.

In assenza di collegamenti certi e diretti con l’albero nobiliare di una famiglia ora estinta, che non figura in nessun sito genealogico (o forse in qualche sito araldico a pagamento ce ne sarà qualche traccia, ma lì poi torniamo ai Luvi’s del Ponte di Casanova, pagare per avere una pergamena pezzottata non è esattamente la mia finalità), la mia ipotesi è che i Pellegrino, famiglia di mia nonna, siano i discendenti di una branca collaterale dei Pellegrino di San Dimitri, il che spiega il culto nella trasmissione del nome Domenico per i primogeniti e i costumi da piccola nobiltà di campagna.

 

 

 

Ma dopo aver scoperto questa ascendenza che mio padre il matematico Archimede avrebbe quantificato percentualmente senza indugi (immagino in un ordine infinitesimale…) non mi atteggerò troppo, perché il mio bisnonno Francesco oltre a scattare fotografie si occupava anche dell’orto e del pollaio; nelle lettere alla moglie, con la sua scrittura veloce da signorotto svagato, non parla di partite di caccia alla volpe e ricevimenti mondani, ma dell’invio di “due chili di pisella, sebbene senza sapore perch’è l’ultima, e n° 10 uova dei nostri gallini” e aggiunge: “ti raccomando di manciarteli e di non fare la stuffosa”. La sua prosa non è quella del duca di York, ma denota senz’altro un nobile altruismo…