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La sarabanda endogamica dei Rapisarda

La sarabanda endogamica dei Rapisarda

Quando andavo alle elementari era vietato collezionare le figurine dei calciatori. A latere c’erano invece le raccolte incoraggiate per il loro contenuto educativo, un anno mi ricordo che ci toccò L’Impero Romano, erano grosse figurine un po’ lucide, molto sottili, ci voleva una palettata di colla per metterle sull’album, impossibile giocarci a pacchero o creare malloppi voluminosi e sfarinanti da rigirare nelle tasche per attutire il tedio delle ore di geografia. Per fortuna il grembiule ne aveva due, di tasche, così in una si tenevano le figurine di regime per rassicurare la maestra, nell’altra le Panini da scambiare e da utilizzare per il gioco d’azzardo. Un anno riuscii anche a completare l’album, mi mancava solo la Roma Coppe e me la dette mio cugino Fabio, la scollò dal suo album e  me la regalò, poteva essere il 1967 o 1968. Fabio era generoso, condivideva tutto, mi fece anche assaggiare una delle sue prime sigarette, lui era alle medie e mi fece giurare di non dire niente alla zia, ricordo come un lanciafiamme che mi perfora la gola, una tosse convulsa e una sensazione di combusto, dopo quella prima non fumai più, lui invece continuò e gli fu fatale.

 

 

Ogni tanto mi piace telefonare al centro genealogico dei mormoni. Loro sono contenti di ricostruire la genealogia, lo fanno per religione, ogni mormone deve risalire fino all’ottava generazione, ossia due alla settima (due genitori ognuno dei quali ha due genitori ognuno dei quali ha due genitori ecc.) più tutte le tappe intermedie, cioé 256 + 128 + 64 + 32 + 16 + 8 + 4 + 2 antenati; è comprensibile che qualche neofita sia perplesso o scoraggiato, infatti si possono trovare sul sito ufficiale della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni delle esortazioni energiche rivolte ai fedeli, sul genere “Non è poi così difficile, basta prendere carta e penna e cominciare a scrivere i nomi dei genitori e dei nonni; coraggio, incominciate!” ecc. Di conseguenza non gli par vero che una persona qualsiasi abbia voglia di ricercare spontaneamente i propri antenati, e una volta appurata la sua sincera motivazione la accolgono a braccia aperte; mi viene in mente un paragone un po’ scasso, ma lo devo fare: come un asceta mistico che sbarca in un convegno di preti mangioni, o uno studente di inglese che si imbuca clandestinamente in un laboratorio di francese per il puro piacere di imparare questa lingua reietta…

(il paragone è scasso perché i mormoni non sono ipocriti né mangioni, ripeto che sono immensamente grata ai volontari del centro genealogico di Catania e a quelli di Siracusa per tutte le notizie che mi hanno fornito in modo efficace e disinteressato)

 

I mormoni hanno un’eccezionale banca dati, hanno schedato gli archivi parrocchiali e detengono un’enorme quantità di informazioni sulla genealogia mondiale; in un’ottica più laica le stesse informazioni si potrebbero ottenere dagli archivi di stato, ma 1) essi partono solo dal 1821, mentre le chiese registravano battesimi e matrimoni già nel 1500 (e i mormoni hanno tutto su microfilm); 2) come tutte le istituzioni pubbliche, gli archivi sono lenti a dare le risposte e a volte vessano con richieste complicate, tipo l’invio di un euro e venti in moneta, due francobolli di posta prioritaria, tre saltelli a piè pari, allora quando si vuole conoscere la data di nascita di un antenato si può scegliere fra attendere l’epilogo di tutto questo tourbillon farraginoso inviando all’ente preposto varie mail, lettere, telefonate e impiegando mesi per avere al contagocce qualche notizia, o telefonare ai mormoni e avere la risposta su quell’antenato subito o quasi, condita da numerose informazioni accessorie su ascendenti, fratelli, sorelle, cugini e accompagnata da una simpatica conversazione con una signora che condivide apertamente la vostra stessa passione, e che perciò non vi giudica suonato o morboso se volete sapere come si chiamava il primo marito della vostra trisnonna e se era molto più anziano di lei. Una volta stabilito il contatto il clima che si instaura è molto simile a quello del cortile di scuola durante lo scambio delle figurine Panini: – Io Francesco Pellegrino non ce l’ho, quando è nato? – Il 19 luglio del 1860. – Strano, l’ho cercato a Catania e non l’ho trovato. – E’ perché è a Nicolosi. – Ah ecco, Nicolosi ce l’ho solo fino al 1851. Aspetti che segno.

Immagino che un giorno qualcuno tirerà fuori di nuovo la Roma Coppe e completerò l’albero.

 

Così, di domanda in domanda e di ricerca in ricerca, il Centro Genealogico di Catania mi ha rivelato dei retroscena endogamici vertiginosi, dopo i quali mi chiedo come facciamo in famiglia a non essere tutti affetti da gravi patologie ereditarie; senza essere così vanitosi da millantare un’emofilia alla Romanov mi domando semplicemente come abbiamo fatto in tutti questi secoli a non nascere con quattordici dita o con una coda di porco.

 

Entro nei dettagli. Però prima allacciate le cinture e organizzate i neuroni perché qui si gira vorticosamente.

Maddalena Rapisarda, mia quadrisavola, figlia di Vito Nicolò Rapisarda e Maria Stella Rapisarda. I suoi genitori erano cugini. Maddalena sposa nel 1823 Giovanni Pellegrino, mio quadrisavolo, figlio di Domenico Pellegrino e Carmela Consoli.

Margherita Montesanto, mia trisnonna, sposa in prime nozze Giovanni Consoli, probabilmente fratello di Carmela, quindi zio di Giuseppe Pellegrino, figlio di Giovanni e Maddalena, mio trisnonno, che Margherita rimasta vedova sposerà in seconde nozze. Per cui Margherita sposa in seconde nozze suo nipote acquisito, figlio della sorella del primo marito.

Dal primo matrimonio era nato Pietro Consoli, che sarà quindi cugino del secondo marito di sua madre e contemporaneamente zio e fratellastro di Domenico e Francesco, figli del secondo matrimonio di Margherita.

Fra i testimoni di nozze c’è Vito Antonio Consoli, sacerdote, che si firma Vito Antonio Rapisarda Consoli. Altro cugino, che ha il padre Consoli e la madre Rapisarda, e che quindi è cugino sia del padre che della madre dello sposo – meno male che è un prete, altrimenti dato il clima si potrebbe prestare a un incesto incrociato.

E veniamo ai collaterali. Berilla Rapisarda, nata a Mascalucia intorno al 1793, sorella della mia quadrisavola e mia pro-pro-prozia. Anche lei figlia di Rapisarda in Rapisarda (Vito Nicolò e Maria Stella), bissa l’incesto sposando in prime nozze suo cugino Pietro Rapisarda, figlio di Filippo Rapisarda e Agnese Lo Giudice, e rimasta vedova sposa in seconde nozze un altro cugino, Vito Lo Giudice, figlio di Vincenzo Lo Giudice e Lucia Rapisarda, a sua volta cugino o  nipote del primo marito. E qui mi fermo, perché un eventuale figlio di questa coppia avrà realizzato l’exploit di essere zio e cugino di se stesso, a patto che non sia diventato prima lo scemo del villaggio per le tare genetiche accumulate.

In un clima così endogamico il matrimonio tra i miei bisnonni Francesco Pellegrino e Lorenza Montesanto, cugini primi in quanto figli lui di Margherita e lei di Salvatore Montesanto, appare a questo punto come una sciocchezzuola.

Apprendendo questi dati qualcuno potrebbe pensare all’area geografica tra Mascalucia e Nicolosi come a un’isola deserta tipo Alicudi, con un centinaio di abitanti che si incrociano ripetitivamente tra loro, ma non è così, nella seconda metà dell’Ottocento la sola Nicolosi conta non meno di tremilaottocentoquarantasei anime; vi è quindi una vasta possibilità di scelta al di fuori dall’ambito familiare. Eppure queste tre o quattro famiglie continuano a sposarsi tra loro.

 

 

Al cimitero di Mascalucia, dove la famiglia Consoli è molto rappresentata, numerose sono le tombe Consoli-Consoli, doppie tessere del domino, segno di un’alleanza intrafamiliare consolidata. Vi sono anche, ovviamente, dei Rapisarda in Rapisarda.

E’ chiaramente un gioco di alleanze incrociate, finalizzato alla conservazione della proprietà della terra. Matrimoni combinati, spoetizzanti dunque?

Quando la trisnonna Margherita Montesanto, vedova quasi quarantenne, sposa Giuseppe Pellegrino, i genitori dello sposo garantiscono per lei, che è orfana e non sa firmare: il matrimonio avviene “sotto l’assistenza dei genitori dello sposo che intervengono al presente atto affin di prestare il di loro espresso e formale consenso secondochè han dichiarato”. Tra i testimoni c’è  Gaetano Consoli, calzolaio, fratello o cugino del defunto primo marito, e c’è anche Agatino Puglisi, “notaio regnicolo domiciliato in contrada Gallazzo, di anni settantacinque”, dalla scrittura senile un po’ parkinsoniana. La presenza di un notaio è indicativa: accanto ad ogni matrimonio c’è un accordo per la dote, per i beni mobili e immobili, che viene sancito ufficialmente. E’ ancora un altro livello di ricerca negli archivi, a cui non sono arrivata (limitandomi ai certificati anagrafici e di battesimo) e che permetterebbe di approfondire il discorso sulle proprietà, su come venivano percepite e gestite all’epoca.

Tutta la vicenda fa pensare a un patto per la salvaguardia e la spartizione del patrimonio fondiario.

Eppure nella foto gli sposi hanno un’espressione distesa, serena.

Telefono di nuovo alla signora del centro genealogico e le chiedo la data di nascita del primogenito della coppia, Domenico Pellegrino, fratello del mio bisnonno.

Domenico è nato a Nicolosi il tre luglio del 1856.

I genitori si erano sposati solo due mesi prima, il dieci di maggio.

Ergo, il matrimonio era già stato consumato.

Ergo, in queste alleanze familiari non c’era solo il dovere ma anche il piacere.

Osservando bene la foto degli sposi si può vedere che l’abito di Margherita è molto largo sotto la vita, con una gonna ampia che potrebbe nascondere l’attesa.

Se potessimo osservare la foto ai raggi x scopriremmo forse l’embrione del primogenito Domenico Pellegrino, geneticamente programmato per diffidare delle alleanze esogamiche, già pronto a spuntar fuori e tiranneggiare sorelle, cognate e cugine per affermare i suoi diritti di primogenito maschio e farsi attribuire una cospicua parte dell’eredità.