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Ma allora l’arcivescovo è mio parente o no


Le inchieste dell’ispettrice Menegaux/3

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Ma allora l’arcivescovo Mingo è mio parente o no?

Precisiamo per cominciare che l’arcivescovo Mingo è un Corrado non toccato dalla Maledizione dei Corradi che demolì gran parte dei primogeniti maschi della stirpe. Egli appartiene al ramo dei Mingo di Rosolini, nel quale è il primo a portare il glorioso nome del mio – e non suo – progenitore, e per surplus di protezione non è neanche il primogenito, essendo stato preceduto da un Giuseppe che molto tradizionalmente ha poi a sua volta generato un Franzo. Potremmo anzi dire sbrigativamente che se i Mingo di Noto si sono posti sotto l’egida del loro santo patrono, quelli di Rosolini hanno scelto un martire il cui culto alberga a pochi chilometri di distanza, nel Santuario della Madonna della Scala.

Finora dunque par condicio. Uno a uno e palla al centro.

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Ribadiamo inoltre che non c’è un copyright, malgrado gli intenti accaparratorî degli uni e degli altri, più o meno in buona fede. Ossia, pur non essendo rosolinese, pur non essendo mai vissuta a Noto, pur non essendo esperta di questioni ecclesiastiche anch’io ho il diritto di parlare del vescovo. Perché? Ce l’avrei comunque perché la libertà di parola ancora non fu soppressa, ma in più mi chiamo Mingo, e dunque per rispetto verso la Famiglia, Sacro Valore Italiano, lasciatemi parlare di questo mio parente di decimo grado.

(ma non vorrei anticipare frettolosamente le conclusioni)

So che a furia di studiare la vita di un personaggio si finisce per affezionarsi a lui, per considerarlo alla stregua di un parente o di un caro amico. E a volte ci si può ingelosire se qualcuno gli rivolge delle attenzioni troppo spinte. Gli accademici possono essere molto permalosi al riguardo, ritagliarsi una sorta di esclusiva sugli autori più importanti e vietare ai giovani ricercatori di pensare a loro – proprio come farebbe un fidanzato geloso.

Esaminamo la reazione tipica di un cattedratico nei confronti di uno studioso emergente che gli presenti con giovanile ingenuità i frutti della sua ricerca su un personaggio cult, fino a quel momento appannaggio esclusivo del cattedratico stesso. Immediata costernazione, richiesta di credenziali (di chi sei allievo), sospetto di insubordinazione da parte di qualche collega malevolo, infine, una volta accertato trattarsi effettivamente di ricerca autonoma, relegamento immediato al rango di Nullità Assoluta Non suffragata dalla Cauzione di un Docente e alzata di zampa in un angolo della sala con abbondante deiezione territoriale.

Quando giunsi a Noto per la mia mission impossible – ritrovare le tombe dei miei antenati in un solo pomeriggio con 40 gradi all’ombra – mi fu annunciata da uno storico locale la pubblicazione imminente ad opera di studiosi netini di un opuscolo sul vescovo mio omonimo. Informatosi discretamente sui miei intenti, appreso che non intendevo dare alle alle stampe alcunché e che la mia ricerca riguardava non l’alto prelato ma tutto il branco di Minghioni omonimi del vescovo e miei, si tranquillizzò e mi lasciò partire per la mia missione equatoriale al cimitero di Noto.

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(Ovviamente io mi guardai bene dal rivelargli che nella nostra famiglia si intrattengono contatti epistolari con Einstein, si parla correntemente greco antico, greco moderno, spagnuolo, guaranì e un po’ di arabo e che la spinosa questione del celibato dei preti è stata già affrontata e risolta diversi lustri prima della nascita dell’arcivescovo, con sorprendenti ricadute demografiche interne e esterne).

La tentazione di fregiarsi di cotanta parentela è forte; così, in una pubblicazione sulla fondazione della Colonia Trinacria in Paraguay, i fratelli maggiori di mio nonno, Corrado e Carlo, vengono agiograficamente definiti nipoti del vescovo, effigiato a latere in beatifico candore. Ci si immagina una famiglia dagli elevati principi morali e religiosi, il distacco commovente dalla madrepatria, la benedizione dell’alto prelato sul molo al piroscafo con i nipoti e gli altri Siciliani in partenza per le Americhe…

Il problema è che difficilmente un vescovo può benedire qualcuno prima di nascere: quando Corrado e Carlo partirono per il Paraguay nel 1898, il mistico infante non era ancora su questa terra; sarebbe venuto al mondo infatti nel 1901. Possiamo tutt’al più ipotizzare che all’inizio del Novecento, muovendo i primi passi a Rosolini, egli abbia inviato oltreoceano i propri influssi benefici al suo omonimo Corrado (di Matteo) e al di lui fratello Carlo (divenuto Carlos) che impiantavano la Colonia Trinacria nei pressi di Asuncion.

Diamo per buona un’interpretazione vasta di un termine spagnolo come “sobrino”, che probabilmente abbraccia un’ampia gamma di significati.

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L’importante è essere di buona famiglia.

E noi lo fummo.

Venendo alla genealogia, che è poi l’unico discorso che mi interessa, dopo aver ricostruito quasi integralmente l’albero dei Mingo di Noto vorrei trovare la giunzione con i Mingo di Rosolini.

Il pitecanthropus.

Il neanderthal.

Per i distratti ripeto che a lungo in buona fede avevamo identificato il vescovo Corrado con Corrado Mingo figlio di Diomede, cugino primo di mio nonno Nicolò e dunque mio parente di quinto grado (il che mi avrebbe dato anche legalmente dei diritti, che so, ereditare un anellino, un paramento, una tiara, rappresentare l’uomo di fede in qualità di discendente in un raduno di Focolarine). Ma poi ho appreso con 93 anni di ritardo da una cartolina inviata dal fratello Enrico a mio nonno nel 1917 che Corrado di Diomede era perito per mano austriaca durante un’offensiva nel vallone di Castagnevizza, sul Carso, ed era lì seppellito, ad alimentare la lignée dei Corradi sfigati. E dunque verifica s’impose, e da essa risultò che Corrado Mingo arcivescovo era figlio di Franzo, a sua volta probabilmente figlio di Giuseppe o di Salvatore, cugini omonimi dei fratelli del mio bisnonno. E quindi addio eredità.

Per pura passione genealogica continuo a chiedermi dove sia avvenuta la biforcazione. Potrebbe essere un Antonino nato nel 1805, sposato con Felicia Meli, padre di un Salvatore 1830 e di un Franzo o Francesco 1835, forse fratello minore di Corrado 1804 mio trisnonno, o forse suo cugino.

Quindi l’anello di congiunzione (lo stipite in comune) potrebbe essere il mio quadrisavolo Matteo Mingo 1768, sposato nel 1803 con Giuseppa Baronello quindicenne e già morto nel 1806, che avrebbe avuto il tempo nella sua breve vita matrimoniale di lasciare non uno ma due eredi, Corrado, mio trisnonno, e Antonino, bisnonno del vescovo; oppure potrebbe essere un suo fratello, un Salvatore o un Giuseppe Mingo nato poco prima o poco dopo di lui, che avrebbe dato origine a un altro ramo. E in quel caso il progenitore comune sarebbe un ipotetico Corrado (mio quintisavolo) nato intorno al 1730, da genitori scampati al terremoto del 1693.

Nella prima ipotesi il vescovo sarebbe un mio parente di decimo grado, nell’altra, di dodicesimo.

Dico mio intendendo in senso più ampio i miei fratelli e tutti i cugini Mingo del ramo di Noto e di quello di Napoli che si trovano sulla stessa linea – nostro parente, ecc.

Per dovere scientifico aggiungo che esiste un altro Salvatore Mingo, fratello del mio bisnonno e omonimo del presunto progenitore di Franzo-Corrado, di cui si sono perse le tracce. Fino a prova contraria non posso pertanto escludere che l’arcivescovo discenda da lui (caso in cui sarebbe rilanciato il 5° grado di parentela, con la tiara, le Focolarine e tutto).

E con questo, in mancanza di dati ancora più precisi che sancirebbero un grado di parentela sicuro al cento per cento (non sono esclusi aggionamenti, in genealogia possono sempre giungere nuove notizie), la mia trattazione può ritenersi per ora conclusa.

Mi obietterete che nulla ho detto sulla figura dell’arcivescovo Corrado, sulla sua militanza sul campo, sui suoi ideali e sulle sue virtù; mi scuso per questa mia mancanza, ma preferisco umilmente che tali discorsi restino appannaggio di persone più competenti, per la gratitudine della colf che non dovrà poi passare straccio e candeggina negli angoli; da parte mia, ho esordito due pagine fa con una domanda (“è mio parente?”) e ad essa penso di aver dato esauriente risposta.

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