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La vera storia di San Franzo e dei Corradi sfortunati

Le inchieste dell’ispettrice Menegaux/1

La vera storia di San Franzo e dei Corradi sfortunati

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… e così, come la storia del Cristo mistico sotto la porta Uzeda a Catania comincia dal 1941, quando il quadro fu colpito dalle schegge di un bombardamento, la storia di San Franzo, martire protocristiano, inizia alla fine del 1600, quando la sua spoglia fu portata dalle catacombe romane al santuario siciliano della Madonna della Scala, nei pressi di Noto.

Qui il santo fu accolto con rispetto e venerato, e molti bambini portarono da allora il suo nome.

Dunque nessuna ascendenza germanica (ma da dove veniva poi, questo San Franzo?), ma un nome esportato e attecchito in fretta, sull’onda dell’entusiasmo per il nuovo martire.

In famiglia la mamma di Ottavio e Dorotea, che aveva sposato Corrado nel 1924, si chiamava Franza. Ma a lei questo nome declinato al femminile non piaceva, sosteneva di essere stata battezzata Isabella in chiesa e si faceva chiamare Lillina.

Quando nacque sua figlia, Ottavio decise di chiamarla Isabella.

Nello stesso istante, a mille chilometri di distanza, un suo cugino di sesto grado nato a Catania nel 1920, forse mai visto o forse nebulosamente incrociato da bambino una volta o due in una casa familiare, decideva di dare lo stesso nome alla figlia che avrebbe avuto con Annamaria. Il nome era completamente nuovo in famiglia, ma i due sposini in viaggio di nozze a Collalbo nel Renon avevano conosciuto in albergo due bambine, Ilaria e Isabella, e avevano immediatamente stabilito che la loro prima figlia si sarebbe chiamata Isabella.

1 Le inchieste 1-La vera storia di San Franzo e dei Corradi sfortunati con immagini_html_2e3a9693Non è vero ma ci credo

Per molti anni le due cugine di ottavo grado vissero da perfette estranee, convinte di una fortuita bizzarra omonimia, coltivando un’illusione di unicità nei loro Mondi Paralleli.

Tornando a Franzo, o meglio a Franza, una frettolosa e comoda associazione mi aveva indotta a credere che i vari Franzi di Rosolini discendessero dal ramo di Noto, appunto via Franza.

Ma in realtà si tratta di un ramo che si era già diramato qualche generazione prima, da un secondo o terzo figlio di Matteo Mingo 1768 (Antonino 1805 – probabilmente fratello minore di Corrado 1804 – padre di un Salvatore 1830 e di un Francesco o Franzo, 1835) o da un suo fratello o cugino (un ipotetico Salvatore, o un Giuseppe, nati fra il 1760 e il 1775).

Mi aveva tratto in inganno la prosecuzione contemporanea del nome Corrado in entrambi i rami della famiglia, come a voler celebrare un antenato comune.

Ma a pensarci bene nel ramo di Rosolini questo nome è apparso (o riapparso) molto tardi, e non è poi in fondo il nome del santo protettore di Noto?

L’inchiesta è ancora aperta.

E infine, non porterà mica sfortuna questo nome?

Corrado Mingo, 1804, primo figlio di Matteo e Giuseppa Baronello. Sua madre ha sedici anni quando lui nasce; a diciotto perderà il marito. Figlio unico – o primogenito con uno o due fratelli – rimasto precocemente orfano, Corrado si sposa presto, a ventitrè anni, con Serafina Bordonali, o Bordonaro, ventenne. Ma qualcosa di tragico accade, perché dopo tre anni Corrado si risposa con Gioacchina (Tina) Monteforte, anche lei ventenne ma di solida tempra, da cui avrà nove figli nell’arco di una ventina d’anni.

Che fine abbia fatto Serafina Bordonali nessuno lo sa. Sui registri del cimitero di Noto non figura negli anni dal 1827 al 1830, e non figurano nemmeno eventuali figli nati morti da questo primo matrimonio del mio trisnonno. Nel 1828 le cronache locali parlano di un’epidemia di tifo, e in un paese in provincia di Agrigento altri due Bordonali, padre e figlia, perdono la vita quasi contemporaneamente (sito ancestry).

Il bisnonno Matteo, primo figlio maschio di Corrado e Gioacchina, carabiniere, conserverà la memoria sotterranea di questi eventi luttuosi e deciderà di consacrare la propria vita al servizio degli altri. Nel 1867 si distingue durante l’epidemia di colera a Favara, curando gli ammalati e contraendo egli stesso il morbo, dal quale guarirà.

1 Le inchieste 1-La vera storia di San Franzo e dei Corradi sfortunati con immagini_html_m5fc2114dNon è vero ma ci credo

Un pallido riflesso persiste anche nella psiche di suo figlio Nicolò, che in tempo di guerra annota sul suo diario le preoccupanti condizioni di salute di sua moglie Margherita, colpita da gastroenterite e impossibilitata a nutrirsi adeguatamente per le restrizioni dell’epoca. Il nonno lamenta la disonestà dei funzionari, l’ingiustizia del governo (pur da lui appoggiato), il mercato nero, e racconta di consacrarsi all’assistenza della consorte inferma. Ma l’afflato idealistico è di breve durata, superato da ben altre envolées, così alla caduta del regime l’ipercoerente Nicolò, fascista della prima, della seconda e dell’ultima ora, indossa la divisa con il fez e tutto e si avvia a piedi per la salita di Capodimonte, dove viene immediatamente arrestato da un gruppo di partigiani e evita la fucilazione solo grazie alla presenza tra di essi di alcuni suoi alunni del Diaz, che garantiscono agli altri trattarsi di un galantuomo – magari un po’ bizzarro, ma questo la storia non lo dice.

Il nonno viene arrestato e tradotto nella fortezza di San Martino, dove resterà per diversi mesi, durante i quali i problemi alimentari della nonna passano evidentemente in secondo piano, sovrastati dall’intransigenza ideale del professore. Il suo diario riporta le varie fasi del processo, la sua ostinazione nel dichiararsi fascista e nel negare la scappatoia dell’infermità mentale offertagli per abbreviare la detenzione, il commento del giudice americano sugli altri italiani voltagabbana…

Per questo episodio il nonno resterà per diversi anni senza stipendio, ecc.

Ma torniamo ai Corradi.

Tutti i figli di Corrado Mingo 1804 hanno voluto dare ai loro primogeniti il nome del genitore, nell’intento di tramandare la memoria dell’antenato nella discendenza. Con sei figli maschi e con la capacità riproduttiva epocale e familiare tutto avrebbe lasciato prevedere un moltiplicarsi esponenziale dei Mingo in generale e dei Corradi in particolare nell’arco dei secoli successivi.

Ma le cose andarono ben diversamente.

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Non è vero ma ci credo

Il primo Corrado, figlio di Matteo, dall’albero familiare risulta nato nel 1870 a Favara, dopo la terribile epidemia di colera durante la quale il bisnonno si distinse per l’abnegazione nella cura agli ammalati, al punto da essere citato nel sito locale “gensfavara”, da cui ho desunto la notizia. Il sito ha un settore dedicato alla genealogia delle famiglie favaresi, ma stranamente Corrado Mingo da Matteo e Crocifissa Florio Bongiovanni risulta irreperibile all’anagrafe locale, nel 1870 e negli anni precedenti e successivi.

Nelle cronache familiari quello che tende a mettersi in mostra è sempre il secondogenito Carlo, che muterà il suo nome in Carlos quando emigrerà in Paraguay.

Anche Corrado emigrerà, in effetti lui e Carlos emigreranno insieme nel 1898, con un gruppo di 127 giovani siciliani provenienti da un’area geografica compresa tra Catania, Ragusa e Siracusa. Per la maggior parte di scolarizzazione elevata o comunque relativamente benestanti: per ottenere l’assegnazione di venti ettari di terra – condizione preliminare per partecipare all’impresa – bisognava versare una somma di cento lire. I partecipanti dovevano inoltre disporre di seicento lire da investire sul posto. Un contratto fu stipulato a tal fine prima della partenza nello studio dell’avvocato Di Stefano Paternò a Catania. Fra gli emigranti figurano anche alcuni lavoratori manuali, la lista elenca meccanici, sellai, falegnami, ferrari, carrettieri, macellai, ebanisti, scalpellini, calzolai, muratori, ma ci sono anche avvocati, farmacisti, insegnanti, ingegneri, agronomi… fra gli emigranti c’è il dottor Giuseppe Caldarera, medico della Real Casa, c’è anche il sacerdote Bartolomeo Giarratana, professore di lettere. Corrado Mingo è farmacista e ha servito nel regio esercito come ufficiale medico.

Definito come un tipo dal carattere schivo e riservato, Corrado trova in Paraguay la situazione ideale per eclissarsi, avendo messo l’Oceano tra sé e le pressioni familiari. In un quadernetto di appunti con un piroscafo su paesaggio lunare dipinto a mano in copertina il terzo fratello, Enrico, riporta la cronaca dei primi mesi dell’impresa della Colonia Trinacria, riferendo in stile telegrafico gli argomenti principali della corrispondenza scambiata con Carlo. Alle notizie sull’insediamento, l’accoglienza del console, l’invio di denaro e di pubblicazioni scientifiche da parte dello zio Diomede, si alternano interrogativi dapprima stupiti, poi preoccupati, infine stizziti sul silenzio di Corrado. “Corrado perché non scrive?”, “Nessuna lettera di Corrado”, “Inviata lettera a Corrado esortandolo a dare notizie a papà”, “Comportamento ostile di Corrado”, ecc.

Dobbiamo precisare qui che al nome dell’antenato Corrado il bisnonno Matteo aveva affiancato per il suo primogenito anche quello di Carlo: Carlo Corrado Mingo. Ma la corrispondenza familiare ne parla solo come Corrado. Questo nome (Carlo) doveva avere un’importanza particolare per il bisnonno, che lo replicherà per il secondogenito. Così, dopo un Carlo Corrado Mingo, ci sarà un Carlo Mingo, il che provocherà anche una certa confusione nei certificati, con un’attribuzione altalenante delle date di nascita dei due fratelli e dei loro titoli di studio.

Nell’albero genealogico figura un solo Carlo, De Franchi o De Franchis, nato intorno al 1750, nonno materno di Gioacchina Monteforte, madre di Matteo. Non escludiamo nulla a priori, questo bisnonno potrebbe essere stato importante per Matteo, aver accompagnato i primi anni della sua infanzia o essere stato evocato positivamente nel ricordo di Gioacchina; come può darsi che questo nome rappresenti un omaggio a un’altra persona, o a un’idea: il nome di un condottiero, un pensatore, uno statista… sappiamo quanto fossero idealisti i Mingo.

Ma per Carlo Corrado questo doppio nome doveva essere fonte di conflitto, non si sentiva né un Corrado né un Carlo, essendo seguito nella fratria da un secondogenito narcisista e intraprendente che si chiamava Carlo – nome su cui quest’ultimo aveva quindi pieno diritto – e che si comportava in tutto e per tutto come un primogenito – cioè come un Corrado -; così il fratello maggiore Carlo Corrado finì per vivere nell’ombra.

Molti interrogativi aleggiano ancora su questo antenato, il cui soma minghesco nell’unica foto da adulto che ci è pervenuta dovrebbe dissipare una parte dei dubbi, che pur sussistono: perché a Favara non risulta il suo atto di nascita e risulta invece nel 1868 un Corrado Bongiovanni da Crocifissa Florio – sua madre! – e Rosolino Bongiovanni ? Il bisnonno Matteo ha sposato Crocifissa in seconde nozze e ha aggiunto al nome di Corrado quello di Carlo, destinato al suo primogenito? O il bambino è stato chiamato Corrado perché era in realtà figlio di Matteo? E in quel caso, che fine ha fatto Rosolino Bongiovanni? Non sarà mica morto in modo misterioso e accidentale poco tempo dopo nelle campagne attorno a Favara? E infine, non sarà mica irriguardoso verso gli antenati scoperchiare un tale calderone?

Meglio non perseguire lo scoop a tutti i costi, quindi in attesa di dati più ufficiali per ora ritiro l’illazione e mi limito a pensare che si tratti di omonimia (i Bongiovanni sono una famiglia molto estesa).

Certo è che questo primo Corrado visse in modo schivo, ridusse quasi a zero i contatti con la famiglia rimasta in patria e quasi a farlo apposta ebbe solo discendenti donne, in modo da tramandare solo marginalmente il cognome, secondo la moda ispanica.

Il secondo Corrado in ordine di tempo non ebbe un destino più felice, nascendo anagraficamente dal mite Peppino a cui il fratello maggiore Ottavio, frate domenicano, aveva presentato una giovinetta di buona famiglia di cui era precettore. Celebrate le nozze, la sposina fu presto in dolce attesa. Il bambino nacque piuttosto prematuro eppure ben formato e in ottima salute, Peppino si insospettì e poco dopo averlo dichiarato come suo figlio comprese che sua moglie era già incinta al momento delle nozze e ebbe ben presto l’orrenda certezza che il maleficio era stato opera di suo fratello frate. Per non dare scandalo i familiari gli consigliarono di seguire l’esempio evangelico del suo santo protettore, ma Giuseppe non volle accettare il suo karma di padre putativo e chiese il divorzio da Dorotea.

Corrado crebbe ben educato e anche amato dalla madre e dal vero padre, ma fu inevitabilmente marginale e non potè incarnare a testa alta la prosecuzione della stirpe, se non altro per lo scandalo che rappresentava nel 1870 un divorzio, anche se ben celato sotto pretesti di incomprensione e disaccordo coniugale.

Non è vero ma ci credo

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Il terzo Corrado nasce intorno al 1880, da Diomede Mingo e Clorinda Ambrosoni. La famiglia è patriottica, il padre ha scelto la ferma prolungata, otto anni di servizio militare, e i figli seguono il suo esempio e servono nell’esercito: Guglielmo, il più giovane, che diventerà poi generale dei bersaglieri, è prigioniero degli austriaci durante la prima guerra mondiale; Corrado, capitano dei mitraglieri, si batte sul Carso, dove muore colpito da una granata austriaca nell’agosto del 1917. Lo seppelliscono nel vallone di Castagnevizza, nei pressi dell’Hermada.

Il suo nome è sul monumento ai caduti di Noto, dove c’è anche una strada dedicata a lui.

Pas de chance, direbbero i francesi. Ma c’è un quarto Corrado, nato nel 1897, figlio di Teodoro Mingo e Mariannina Tavana. Ragazzo cagionevole, allevato all’ombra delle due sorelle maggiori, decide di impegnarsi nell’avventura coloniale ma contrae una malattia tropicale e muore nel 1920. La sua spoglia viene riportata in patria e inumata nella cappella di famiglia.

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Restano gli eventuali discendenti di un altro fratello del bisnonno, Salvatore Mingo, che probabilmente si allontanò da Noto per cercare fortuna. Di lui non si hanno notizie e se ci fu da parte sua un Corrado anche di lui si sono perse le tracce, il suo gene siculo stemperato tra le nebbie del nord o d’oltreoceano.

Citerò infine un Corrado Mingo del ramo di Rosolini, presumibilmente della generazione di mio padre, figlio di un Franzo emigrato al nord, che cercò un contatto su Ancestry per ricollegarsi alle sue origini e morì prima che potessi raggiungerlo. In qualche modo sfortunato anche lui.1 Le inchieste 1-La vera storia di San Franzo e dei Corradi sfortunati con immagini_html_557d97e1

Per concludere, a Noto invece dei dodici, ventiquattro o trentasei Corradi che l’antenato Mingo prevedeva di propagare ne resta uno solo.

Non vi dirò da chi discende. Quello che conta è che, a differenza dei suoi omonimi predecessori, gode di ottima salute e non sacrificherà la sua preziosa esistenza per un ideale vano.

Dopo secoli di vane chimere, i Mingo entrano nell’era della concretezza.

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