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Antenati latitanti

Antenati latitanti

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E’ stato bello e rassicurante ritrovare i trisnonni Montesanto nella quiete rurale del cimitero di Nicolosi. Un po’ come se mi aspettassero da sempre.

Per i trisnonni Mingo un incontro più shocking, con la scenografia barocca del cimitero di Noto in una luce pomeridiana abbagliante.

Ora devo ancora scoprire dove sono sepolti (1):

Francesco Pellegrino, ragazzo dolce e sensibile che si sperimentò nella fotografia, attività moderna che coniugava la tecnica e l’arte, e morì a 44 anni.

Le immagini migliori dei miei antenati mi sono pervenute grazie a lui, ai suoi dagherrotipi.

Peccato non avere nessuna delle foto che faceva in esterno, per esempio quella dell’escursione al castagno di cento cavalli il 9 maggio 1890, con un gruppo e un non meglio identificato professore.

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Sua moglie Lorenza Montesanto, che alla scomparsa di Francesco non fu più difesa dalla prepotenza feudale maschile, fu estromessa dalla proprietà di Nicolosi e si ridusse a leggere La Madre Cristiana nel suo appartamento di Catania.

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Che alla sua morte o poco dopo fu venduto.

Oggi sul luogo sorge una scuola media. Sul lato che dà su via Redentore, in corrispondenza di quello che era un tempo il numero 16, c’è un accesso laterale degradato, con un cancello arrugginito pieno di graffiti.

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Tentare a Mascalucia, dove erano nati i genitori di Francesco. Poi a Pedara, dove era nato suo nonno. Poi a Catania, dove è morta Lorenza e dove forse morì anche lui.

Matteo Mingo, glorioso garibaldino. Nella chiesa di S.Agata al Carcere la sua tomba non c’è; il monsignore a cui ho chiesto informazioni sostiene che nella cripta ci sono solo morti anteriori al 1870.

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Tentare al cimitero di Catania, alla confraternita di s. Agata al Carcere (è un palazzone squallido tipo ospedale o sede INPS all’interno del cimitero, dall’esterno è alquanto lugubre, ma dentro non so).

Matteo Mingo (o Carlo), nato morto nel 1818 circa, tra zio Enrico e Archimede. La nonna ripeteva: fu la levatrice, fu colpa della levatrice che non arrivò a tempo.

Il nonno era in guerra. In quegli anni morirono anche i 2 Corradi, di Diomede e di Teodoro, uno colpito da una granata austriaca, l’altro per la puntura di una mosca tse-tse.

Morì anche nel 1917 la sorella Gaudenzia, la terza dei nove figli di Corrado e Gioacchina, zia dei due giovani Corradi morti in guerra e prozia del piccolo Matteo nato morto.

Il piccolo Matteo, atto mancato, intitolare un figlio al proprio genitore e non riuscirci. Prima veniva Enrico, omaggio al fratello maggiore ufficiale che fece da padre a mio nonno Nicolò alla morte di Matteo nel 1907- a 22 anni il nonno perse il padre, il fratello aveva 11 anni in più e lo guidava. Gli altri 2 fratelli più grandi, C. Corrado e Carlo, erano partiti per il Paraguay quando lui aveva 13 anni.

E in coda c’era Lucia, la sorella più giovane, coccolata e protetta finché non divenne un problema che i 2 fratelli rimasti si scaricarono tra loro fino al triste epilogo.

E quindi il primo fu chiamato Enrico, ma il 2° doveva chiamarsi come il nonno (o come Carlo? Io avevo sentito anche quest’altra versione. Altro nome cult in famiglia e nome del fratello affermato in Paraguay.)

Quindi la guerra, vari morti in famiglia, per i nomi atto mancato, e a ottobre del 1920 nasce Archimede, mite, profondo, meditativo osservatore, che dovrà compensare questi traumi, colmare tutti i vuoti.

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Anche Diomede era nato dopo una piccola Giuseppa di cui non c’è traccia, morta anche lei alla nascita o in tenera età, Giuseppa come Giuseppa Baronello, madre di Corrado 1804 e moglie di Matteo 1867. Anche lui, Diomede, dignitoso e stoico nella sopportazione.

Mi piace questa figura di Mingo solitario e studioso, colpito dalle avversità della sorte, ha un certo spessore, e in virtù della desinenza in –ede che lo accomuna con mio padre lo colloco senz’altro in pool position nella classifica dei miei antenati.

Per questo ho portato dei fiori di plastica long-life sulla sua tomba, che ho poi penato a sistemare in mancanza di un vaso. Per non far inquietare l’integerrimo antenato ho rinunciato a sottrarre un vaso da sepolture altrui in abbandono: alla fine aguzzando l’ingegno ho recuperato un barattolo di vetro reietto stile conserva e l’ho agghindato all’esterno con la plastica colorata che avvolgeva i fiori.

Composizione estetica e funzionale, in puro stile minghesco, per fare onore al pro-prozio amante della patria /che nello amore di essa/ visse e s’addormì/ a novantun anni.

NOTE:

  1. Il testo è stato scritto a luglio 2010. In ottobre ho ritrovato a Catania le tombe dei bisnonni Mingo-Bongiovanni e Pellegrino-Montesanto, vedi Cronache di viaggio/2, La lapide disortografica e la bisnonna senza nome.

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