Estetica cimiteriale
Dopo la compostezza agreste del cimitero di Nicolosi e la grandiosa scenografia orientale di quello di Noto, il cimitero di Catania è un’enorme cassata siciliana, ridondante di ornamenti dal gusto iperglicemico.
Qui liberi da remore e vincoli i parenti si sono sbizzarriti in tutta la gamma del kitsch. Verandine anodizzate, vetrate tardo-zotiche, intere cristalliere ricolme di ninnoli, pensiline d’autobus con l’immagine del morto inserita in pannelli in stile pubblicitario; uno è vestito come George Clooney in “No Martini, no party” e ammicca complice al visitatore, sembra invitarlo di là, ché in fondo poi non si sta così male…
Gigantografie del caro estinto in calzoncini mentre consuma con soddisfazione un pasto estivo su sedia da campeggio, o a torso nudo in spiaggia, il petto villoso incorniciato da goccioline lucenti all’uscita dall’acqua…
Non fotografo i morti altrui per rispetto, gli increduli ci si rechino di persona e vedranno che non conto balle; intanto magari verrà inventato l’ologramma parlante e il cimitero di Catania sarà ovviamente il primo a dotarsene, così sarà possibile intrattenersi un brevi e illusorie conversazioni con i defunti.
Riprendo solo una lapide con un’iscrizione:
TU…
CAMINI CU STU LONGU PASSU
CRIRI DI CUNQUISTARI L’UNIVERSU
MA LA NATURA SI NNI PIGGHIA SPASSU
PURI PI TIA TI SCAVA LU FOSSU
Che mi ricorda Pavese:
Verrà il giorno che il giovane dio sarà un uomo
senza pena, col morto sorriso dell’uomo
che ha compreso. Anche il sole trascorre remoto
arrossando le spiagge. Verrà il giorno che il dio
non saprà più dov’erano le spiagge di un tempo.
Ci si sveglia un mattino che è morta l’estate,
e negli occhi tumultuano ancora splendori
come ieri, e all’orecchio i fragori del sole
fatto sangue. È mutato il colore del mondo.
La montagna non tocca piú il cielo; le nubi
non s’ammassano piú come frutti; nell’acqua
non traspare più un ciottolo. Il corpo di un uomo
pensieroso si piega, dove un dio respirava.
Il gran sole è finito, e l’odore di terra,
e la libera strada, colorata di gente
che ignorava la morte. Non si muore d’estate.
Se qualcuno spariva, c’era il giovane dio
che viveva per tutti e ignorava la morte.
Su di lui la tristezza era un’ombra di nube.
Il suo passo stupiva la terra.
Ora pesa
la stanchezza su tutte le membra dell’uomo,
senza pena, la calma stanchezza dell’alba
che apre un giorno di pioggia. Le spiagge oscurate
non conoscono il giovane, che un tempo bastava
le guardasse. Né il mare dell’aria rivive
al respiro. Si piegano le labbra dell’uomo
rassegnate, a sorridere davanti alla terra.
(Mito, 1943)