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Corrado Mingo is dead /2

(Foto Enrico Mingo ufficiale – Cartolina dalla Libia 1903 – Copia copertina – una o più pagine della gramm araba (la prima, sulla pronuncia, e forse una con nomenclatura) – Scanner cartolina morte Corrado

Noto – Foto monumento ai caduti e lapide

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So che avrei dovuto dare la precedenza a lui, che cronologicamente è il primo eroe di famiglia, ma ho preferito citare prima il suo omonimo della generazione seguente, Corrado Mingo sradicato dalla Sicilia d’origine e nato a Vimercate, che aprì le danze genealogiche e si spense senza conoscere le sue ascendenze.

In realtà anche la concatenazione temporale è anomala.

Nell’albero che mi ha dato mio cugino Gianni, tra i figli di Diomede Mingo, agronomo e studioso, risulta un Corrado, da noi frettolosamente identificato con il vescovo di Noto, a suffragare la nostra smania di piccole glorie familiari. Uno zio vescovo fa sempre un certo effetto.

(Ma anche una lettera di Einstein permette di spararsi una bella posa…)

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Poi tra le carte del nonno Nicolò custodite nel Grande Magma Universale della cassettiera Ikea la mia attenzione è stata attratta da alcune cartoline postali che Enrico Mingo, ufficiale medico, inviava prima allo studente Nicolò Mingo, via Pastore, Catania, poi al tenente farmacista Nicolò Mingo, zona di guerra.

In una, da Porto Said, in Libia, informa che lì c’è la peste bubbonica, ma dice di non preoccuparsi, perché loro hanno preso tutte le precauzioni del caso. “Stasera non ostante che l’equipaggio sia rimasto sempre a bordo si farà la disinfezione generale, ed a Suez ed a Massaua spero che non ci terranno in quarantena.”

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Per i contatti con la popolazione il prozio Enrico aveva imparato l’arabo da una grammatica manoscritta del prof. Naim Vittorio, Catania 1893, redatta in uno stile da manuale di conversazione con trascrizione fonetica, in cui figurano frasi tipo “Quanti cavalli potrebbero bere?”,“Quanto è lontana Tripoli da Tunisi?” “E’ distante sei giorni e si viaggia per mare e per terra e si passa per Malta”; “Ieri vicino alla mia casa assalirono quelle persone, le rubarono e le uccisero”, oppure “siamo accampati sotto le montagne della Kuna, non abbiamo potuto inoltrarci verso la foresta perché fummo assaliti da una banda di arabi di di Tippo-tib e di Kabba-rega”. C’è anche una pagina dedicata al commercio carnale, con un linguaggio settoriale sorprendentemente simile a quello odierno: vi si trovano termini come “donna cattiva”, “passerina”, “trombare”, ecc.

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Con le cartoline successive si entra nel vivo del primo conflitto mondiale, i cui attori da parte italiana e austriaca si trovarono in realtà a vivere uno scenario molto frustrante, massacrandosi gli uni con gli altri sul Carso per guadagnare in un giorno qualche decina di metri che avrebbero perso il giorno dopo.

In questa melensa zuppa di retorica e di sentimenti patriottici mista a interessi economici molte furono le vittime.

Tra loro, lo sfortunato Corrado figlio di Diomede, colpito da una granata austriaca nel vallone di Castagnevizza, vicino all’Hermada, ove fu seppellito.

Ritrovo a distanza di 93 anni la cartolina con cui l’ufficiale Enrico annuncia al tenente Nicolò Mingo la morte del cugino Corrado.

4 Corrado Mingo is dead 2 con immagini_html_739f49eb4 Corrado Mingo is dead 2 con immagini_html_240fad73

A Noto c’è un monumento ai caduti della grande guerra con una lista di morti che prende tre lati del basamento. Corrado è in pool position nella sua qualità di capitano, è tra i primi citati nella prima colonna. C’è anche una strada dedicata a lui.

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Suo padre Diomede apparteneva ai Mingo a tendenza idealistica e non batté ciglio. Sindaco di Noto all’epoca della morte del figlio, al cimitero la lapide della sua tomba lo commemora come un patriota convinto.

Il che non gli impediva di punzecchiare poi, è il caso di dirlo, il fratello Teodoro, che pochi anni dopo perse anche lui il primogenito in manovre di guerra – ancora un Corrado Mingo perito in giovane età – per una malattia tropicale contratta nelle colonie. Gli diceva: “Mio figlio è morto da eroe, il tuo per una puntura di mosca”.

I Mingo, si sa, hanno sempre avuto il dono dell’ironia.

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