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Corrado Mingo is dead/1

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Nel momento in cui decido di dedicare qualche ora di insonnia a un esponente significativo della diaspora minghesca mi interrogo sulle origini di questo nome, che ricorre attraverso i secoli nella famiglia e può forse fornire qualche indicazione sulle origini remote dei Mingo.

L’ipotesi più plausibile è quella un’origine spagnola(1):

Jorge Domingo nome originario di un hidalgo españolo

Korke Domingo pronuncia storpiata dai nativi siculi

Corre Domingo adattamento grafico e parzialmente anche fonetico

Corrado Mingo assimilazione per isomorfismo

Da qui partì il capostipite.

Poi tra i documenti registrati nella cartella «Diario genealogico» la mia attenzione è attratta da un titolo, Psicogenealogia. E’ un file scaricato da Wikipedia.

La psicogenealogia è un approccio alla psicologia e alla psicoterapia sviluppato negli anni 70 da Anne Ancelin Schützenberger

E già qui la pronuncia di Schützenberger mi comincia a dissuadere. Poi però continuo :

secondo cui gli eventi, i traumi, i segreti, i conflitti vissuti dagli ascendenti di un soggetto condizionerebbero le sue turbe psicologiche, le sue malattie e i suoi comportamenti strani o inesplicabili.

E questo invece mi piace. O almeno diciamo che mi interessa.

Per elaborare questa teoria, Anne Ancelin Schützenberger si è fondata sulle sue osservazioni e su dei concetti provenienti dalla psicanalisi e dalla sistemica.

Oggi, quest’approccio ha dato luogo a numerose pratiche psicoterapeutiche molto diverse, alcune delle quali oggetto di vive critiche.

E sottolineo, alcune delle quali oggetto di vive critiche.

Ma se uno se la fa da sé, l’ancestroterapia?

E qui vorrei venire a Corrado Mingo.

Anche lui portava il nome del capostipite, ed era emigrato. Anzi, era nato da emigrati. Ma questo l’avrei scoperto più tardi.

E’ stato lui il primo a mettere in rete un pezzo di dna dei Mingo, un frammento lineare con i suoi genitori e i suoi nonni che mi ha incoraggiato a entrare nel mondo espanso della ricerca genealogica.

Corrado ha messo questo frammento su ancestry(2) senza indicare le date. Come nomi l’albero menziona solo Franzo Mingo e i suoi genitori Salvatore Mingo e Rosina Arancio (un nome da lecca-lecca o da gelato da spiaggia della nostra infanzia, un ghiacciolo multicolore. Salvatore ha fatto una scelta poetica).

Franzo Mingo risulta avere un figlio, che figura come «vivente Mingo» (in questi casi il nome di battesimo non viene citato per la privacy). Provo a scrivergli tramite ancestry ma il suo contatto e-mail è disattivato. Chissà perché immagino un tipo giovane, e che tra lui e il mio bisnonno ci siano un paio di generazioni in più, insomma per me un nipote, o addirittura un pronipote.

Riprovo, penso che magari ha la casella piena e che una prossima volta troverà il mio messaggio. Il suo indirizzo e-mail è corry8, sicuramente un Corrado. Mi convinco ancor più che discenda dai Mingo di Noto, ma chissà perché lo immagino come un discendente di Giuseppe – Peppino, del ramo di quel Corrado che portò per un po’ un cognome diverso ma fu sempre al cento per cento un Mingo, tranne ovviamente l’apporto di Dorotea, sua madre. E siamo intorno al 1870.

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Sono i fratelli del mio bisnonno Matteo.

A vederlo con i baffoni e con tutte quelle medaglie non si direbbe che sia stato una star del travestitismo. Eppure nel 1860, all’arrivo di Garibaldi in Sicilia, uscì notettempo vestito da donna per issare il primo tricolore a Noto, sulla statua di Ercole(3).

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Le date sono difficili da circoscrivere, erano otto fratelli, forse nati nell’arco di una ventina d’anni, ma sono all’inizio della ricerca e mi chiedo come saperlo(4). Matteo doveva essere il primogenito, perché anche suo nonno si chiamava Matteo; suo padre Corrado era nato nel 1804 a Noto (Siracusa), sposato con Gioacchina Monteforte, nata a Siracusa intorno al 1810. I figli: Matteo, Salvatore, Ottavio, Giuseppe, Diomede, Teodoro, Agnese e Gaudenzia(5). Su ancestry l’albero di Franzo è stato messo in rete un paio d’anni fa. Da un anno e mezzo corry8 non ha più contatti. Penso che dopo l’entusiasmo iniziale avrà visto che non c’era nessun altro Mingo in giro e si è scazzato. Trovo un’altra sua traccia su un sito che parla di cognomi, stessa e-mail, dice che il cognome Mingo forse è di origine maltese. Faccio una ricerca sui siti maltesi ma non mi risulta, il cognome non c’è. Provo a scrivere a Corrado anche da lì, ormai lo chiamo per nome, «Tu devi essere Corrado Mingo, scusa se ti dò del tu, ma probabilmente siamo cugini. Io vengo da un ramo dei Mingo di Noto trapiantato a Napoli al seguito di mio nonno Nicolò Mingo, e tu, da chi discendi? Da Teodoro che sposò una ricca ereditiera? Da Giuseppe, marito di Dorotea?», ma Corrado non risponde.

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Intanto faccio anche una ricerca sulle pagine bianche e provo a telefonare ai Mingo di Noto-Rosolini, ma essi sono costantemente assenti e nei loro accoliti trovo sempre una certa sicula diffidenza(6).

Continuando a cercare sulle pagine bianche trovo un Corrado Mingo a Domodossola. Su ancestry suo padre Franzo risulta nato a Rosolini e morto a Vimercate; è da quelle parti, faccio due più due e ho il numero di telefono di Corrado.

Ma non lo chiamo. La telefonata è un investimento emozionale, spero ancora nell’e-mail; poi il tempo passa. Dopo qualche mese penso di vedere se sulle pagine bianche ci sono altri Mingo in quella zona.

A quel punto trovo suo figlio, un nome a consonanza esotica, alla fine pensandoci hanno voluto chiamarlo quasi come Franzo. Su internet a volte ci sono le date di nascita – voglio dire, senza fare nessuno sforzo in tal senso, la data ti viene spiattellata immediatamente accanto al nome della persona, a volte insieme a dettagli che meriterebbero di restare celati nella sfera più intima – comunque senza spingermi oltre scopro che è mio coetaneo, allora comprendo che suo padre Corrado è vecchio, che è della generazione di mio padre, forse solo una decina di anni in meno, e che devo fare presto, che non scrive più perché è ammalato, o forse addirittura è già morto.

Telefono, è mattina, mi risponde una badante, o comunque una donna slava giovane, mi risponde che il signor Corrado non c’è, è da molto tempo ormai che non c’è. Le chiedo se il signor Corrado ha un figlio, mi dice che ne ha tre, poi però quando le chiedo la loro età fa da filtro, dice di telefonare la sera quando ci sarà qualcuno. Cerco di spiegarle: la genealogia, il signor Corrado cercava il nonno, il bisnonno…

Corrado Mingo era della generazione di mio padre. Suo padre Franzo era il cugino di mio nonno. Suo nonno Salvatore era il fratello o forse il cugino del mio bisnonno Matteo (quello del tricolore). E quel diffidente di suo figlio la sera al telefono fa finta di essere solo un conoscente, dice che i figli di Corrado non ci sono e che riferirà. Sospettoso resta sulle sue, non può credere che una sconosciuta con il suo stesso cognome lo stia contattando per ricostruire un po’ di memoria, teme l’arnaque. Ma quale, poi?

Strana sensazione di essere trattata come uno spam, a cui so che mi dovrò abituare se voglio avere la tenacia di proseguire. Mica facile.

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Dunque Corrado verso la fine della sua vita ha cercato di sapere da dove veniva. La sua ricostruzione genealogica si fermava a suo nonno Salvatore, e probabilmente i contatti con la Sicilia erano già stati persi da suo padre Franzo, che emigrò al Nord ancor prima che mio nonno emigrasse a Napoli, infatti Corrado era nato lì, a Domodossola, invece mio padre ha avuto il tempo di vedere la luce a Catania.

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Franzo emigrò per motivi economici o per dare una svolta alla sua vita? Doveva essere nato intorno al 1890, come mia nonna Margherita Pellegrino e come Franck Lantini, l’uomo a tre gambe di Rosolini che fece fortuna in America con il suo numero della bicicletta a tre pedali (ora però non vi distraete con ricerche perverse sui siti freaks, per quello c’è tempo dopo, concentriamoci per ora sulla Sicilia di origine - hypocrite lecteur, mon semblable, mon frère).

E dunque negli anni 20 mio padre muoveva i suoi primi passi a Catania e Franzo Mingo si trasferiva a Vimercate, dove Corrado sarebbe nato intorno al 1930. Già uomo del Nord, con l’accento e tutto. Ma alla ricerca di una radice strappata.

Forse Franzo aveva litigato con qualcuno. Ma aveva fratelli? Era sempre stato un solitario, non era contento che a tre suoi cugini fosse toccato di portare il nome del capostipite e a lui quell’appellativo così ostico, senz’altro un retaggio svevo o angioino(7 ). Perciò appena arrivato a Vimercate decise di battezzare il suo unico figlio con il glorioso nome dell’antenato.

Illustri omonimi:

Il vescovo Corrado Mingo, Rosolini 1901 – Mazara del Vallo 1980;

Corrado Mingo, 1870-1951, farmacista, emigrato in Paraguay, tra i fondatori della Colonia Trinacria alla fine dell’800;

Il capitano dei mitraglieri Corrado Mingo, figlio di Diomede, nato intorno al 1880, morto in guerra nel 1917;

Il tenente Corrado Mingo-Tavana, 1897-1920, figlio di Teodoro, morto nelle colonie per una malattia tropicale;

Corrado Mingo, 1870-1939, figlio di Giuseppe e Dorotea, meno illustre dei suoi omonimi ma protagonista di una leggenda familiare tramandata in modo criptico di generazione in generazione.

Non ho cercato direttamente il mio lontano cugino, anche lui dal nome esotico benché leggermente variato – per telefono a casa di Corrado credo di aver parlato con un fratello più giovane, il mio intuito del tutto opinabile mi fa pensare ad un ultimogenito colto alla sprovvista e desideroso di non attirarsi noie – ma il web mi ha rivelato qualcosa sulle sue attività, di cui ovviamente non divulgherò nulla per la privacy.

Mi limiterò a dire che come diversi Mingo è impegnato nella vita pubblica. Non so se fa parte anche lui dei Mingo con valigetta, modello zio Enrico, che circolava con opuscoli in esperanto e altri materiali sorprendenti (negli anni Settanta un giorno da quella valigetta estrasse persino una bottiglietta di tamari, illustrando a noi scevri da ogni conoscenza in materia i benefìci della macrobiotica – decisamente un tipo all’avanguardia).

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Zio Enrico era un Mingo di formato piccolo, nervoso, scattante. Fino a 88 anni ha percorso Napoli in lungo e in largo per le sue mille attività, in un jogging urbano riequilibrante, un dispendio energetico che potrà parere spasmodico ai sedentari, ma di cui noi Mingo abbiamo bisogno per smaltire il surplus fisico e mentale (la natura ci ha dato batterie in sovravoltaggio).

Lo stesso fisico ce l’aveva Carlos Mingo, eroe della guerra greco-turca, fine, barbetta tagliata sottile, cappello da garibaldino. Emigrò da Noto per il Paraguay nel 1898.

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Sono pronti a battersi per una causa sociale, i Mingo. Ma si affezionano anche alle idee, dunque li si può trovare estremi, a destra o a sinistra, benché nel fondo innocui perché scrupolosamente rispettosi delle regole.

Ho ritrovato nell’incartamento genealogico delle note manoscritte dal titolo “Colonia Trinacria – Asuncion”, è un quadernetto di quegli anni. Per un po’ ho creduto che fossero opera di mio nonno Nicolò, all’epoca tredicenne: la loro lettura ha confortato in me per qualche tempo la sua fama di genio precoce.


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Poi, di fronte a riferimenti precisi come “versato lo chèque alla banca” o “ricevuto vaglia di lire cinquanta da Diomede”, attività all’epoca inaccessibili a un minorenne, ho dovuto capire che si trattava del fratello maggiore del nonno, Enrico (un altro Enrico, il mio prozio), diciamo anzi il terzo fratello, prima venivano Corrado e Carlo, emigrati in Paraguay per fondare la Colonia Trinacria e dare un nuovo impulso al paese, poi Enrico che nel quaderno prende nota della corrispondenza, poi Nicolò, mio nonno, che allora era un ragazzino, comunque suppongo già speculativo e magari anche intrattabile, a giudicare da altri quaderni successivi, questi sicuramente suoi.

E infine c’era una sorella, Lucia, un sorriso enigmatico, lo sguardo schivo in una foto del 1905, diciassettenne con i bisnonni Matteo e Crocifissa già anziani e con mio nonno giovanotto; elegante e composta in un abito chiaro, con un cappello, una medaglietta al collo, lei e sua madre hanno in mano delle specie di spazzole piene di piume, saranno ventagli? La povera Lucia che non era intelligente come gli altri Mingo, che aveva la mente un po’ vacua e che visse nascosta, e finì i suoi giorni a Napoli negli anni 70 in un ospizio, senza che noi pronipoti l’avessimo mai conosciuta.

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Uno dei due fratelli del nonno ha fondato una dinastia, i Mingo del Paraguay. Fra i suoi figli un Mateo, un Enrique, un Carlos, il futbolista Fausto Eduardo Mingo che giocò in nazionale e fu centravanti del Boca Juniors negli anni 40, poi nella generazione successiva il prozio Eduardo, pneumologo a Asuncion, che venne a Napoli a incontrare il nonno Nicolò e la nonna Margherita negli anni 70, poco prima che morissero, e poi dei bambini dal nome doppio: Fabio Enrique, Eduardo Antonio… mio cugino Giovan Battista mi ha passato delle foto, matrimoni e battesimi di indios opulenti vestiti di stoffe lucide, commercianti dalla solida posizione.

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Mio cugino Gianni, al secolo Giovan Battista Mingo, è il più anziano dei Mingo napoletani. E apparentemente anche l’unico a condividere la mia smania indagatoria sulle origini.

Quando il desiderio di risalire ai miei antenati si è imposto a me come un’impellenza ho avuto un flash, mio padre alla scrivania in quell’ultima primavera, che scambiava con Gianni un foglio manoscritto con un albero genealogico.

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Adesso una copia dell’albero è qui, con gli avvertimenti scettici del cugino Gianni, «guarda che non a tutti interessa…troverai molte difficoltà…», quanto mai veritieri. Probabilmente prima che io diventassi uno spam anche lui è stato frenato nei suoi entusiasmi ancestrali, con stigmatizzazioni commisurate all’epoca (piazzista di ascendenze indesiderate all’uscio di un parente di sesto grado, pericolosa spia sovietica nell’archivio parrocchiale…).

In Paraguay il capostipite è passato alla storia come matematico: Carlos Mingo figura sul sito del ministero tra i personaggi da commemorare, docente di matematica e fisica ai primi del 900 all’università di Asuncion. Quello che il sito non dice è che negli anni 20, all’indomani dei lavori di Einstein sulla relatività e in opposizione ad essa, pubblicò un opuscolo dal titolo «El dinamismo inmanente y creador» in cui imbastiva una teoria cosmogonica su base scientifico-matematica, opuscolo immediatamente tradotto in italiano da mio nonno, non so con quale fortuna.

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Intanto in Italia il nonno Nicolò, nominato professore di chimica al liceo Ximenes di Trapani, cominciava a esercitare tra le scolaresche, i colleghi e i superiori quel suo carattere intransigente e bellicoso che lo avrebbe precipitato in una spirale di trasferimenti forzati, allontanando definitivamente lui e la famiglia dalla Sicilia natale. Per una lite con un superiore da Trapani andò all’Aquila; da qui per un diverbio con un ispettore fu spedito a Catanzaro, dove il trattamento economico era scarso ma vi era una biblioteca ben fornita e colleghi competenti; profittò dell’esilio calabro per studiare la teoria della relatività: formato alla Scuola di Farmacia dell’Università di Catania con i professori Sebastiano Catania, Giuseppe Veronese e Azeglio Bemporad, “venerati miei maestri, il cui ricordo si associa alla più dolce emozione di gratitudine!”, le sue letture e le sue speculazioni lo indurranno qualche anno dopo a muovere delle critiche alla teoria di Einstein, con un opuscolo trilingue e una lettera in inglese, a cui Einstein rispose (cimelio di famiglia).

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Molti anni dopo, conversando con la cugina paraguaya Selva Mingo in visita a Napoli, ho scoperto che anche suo nonno Carlos aveva scritto a Einstein. Nella famiglia si tramandava di generazione in generazione un ateismo intransigente, accompagnato dall’amore per la speculazione e per le scienze esatte. Selva racconta che a scuola lei e le sorelle erano emarginate perché non partecipavano alla preghiera, nessuna di loro aveva fatto la prima comunione ecc., ma erano al tempo stesso fiere di questa loro particolarità che le rendeva uniche e intellettualmente superiori alla massa dei cattolici passivi e di convenienza.

Come avranno fatto gli altri discendenti paraguagi a trasformarsi in pacifici negozianti?

Ma forse anch’essi sono intimamente travagliati dalla minghesca ricerca di ideali impossibili…

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I miei bisnonni Pellegrino si sono sposati a Catania nel 1888, nella chiesa di Santa Maria della Mercede. Testimoni Leonardo Greco e Spiridione Musumeci(8).

L’atto di battesimo di mia nonna Margherita Pellegrino è stato il primo documento genealogico e ecclesiastico che ho visto, in latino di chiesa con svolazzi. I nomi dei genitori della neonata sono latinizzati in Franciscus et Laurentia, all’accusativo perché retti entrambi da un successivo «interrogavi» (Ego curatus… Franciscum et Laurentiam interrogavi= Io, parroco…, ho interrogato Francesco e Lorenza). A margine è annotata successivamente la data del matrimonio di Margherita con mio nonno Nicolao Francisco Fortunato Mingo, a Platia, vulg. Piazza Armerina, di anni 28, figlio di Mathaei et Crucifixae Bongiovanni.

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Era il 10 febbraio 1890. Queste persone lanciavano Margherita Pellegrino nel mondo.

Immagino di creare un sito Pedigree Mingo, e mi pongo subito il problema di come considerare gli omonimi presenti sugli altri continenti. Quella Suzanne Mingo, grande progenitrice sul sito ancestry, nata a Douai in Francia nel 1720, che si trasferì a Luneburg, Nova Scotia, e lì dette origine a una dinastia che dal Canada si diramò poi negli States. I suoi genitori si chiamavano Menegaux. Ugonotti trapiantati nel Nuovo Continente dopo l’editto di Nantes, che fondarono un insediamento di Quaccheri in Nova Scotia. Ma a pensarci bene, perché non potrebbe essere partito qualcuno dalla Normandia qualche secolo prima e aver esportato anche in Sicilia questo cognome che pronunciato alla maniera locale avrebbe dato Mingo?

Così come negli Stati Uniti, trascritto con una pronuncia anglosassone, aveva dato… Mingo!

Poi ci sono dei falsi Mingo, come Mingo Carmine Pasqualle (con due elle!) citato sul sito ancestry, emigrato in America ai primi del 900, figlio di Dominick Monaco (chiara storpiatura fonetica, ma che ha dato luogo a una vasta dinastia di Mingo negli States – anche loro ormai si possono fregiare del glorioso cognome, ma tuttavia non sono miei parenti).

Poi c’è il ramo di Ancona il cui cognome deriva da Domenico, Mingo è un diminutivo (come Fabio e Mingo che con la loro iperattività infestano la rete, zavorra ridondante attraverso cui svicolo per inseguire con ostinazione la traccia dei miei rari antenati), che da nome diventa cognome. Glorioso cognome anche per loro, ma idem, non siamo parenti.

Da precisare tuttavia che c’è un ceppo di Mingo originali dalle parti di Ravenna, impiantato da mio cugino Eugenio, che da Napoli ha proseguito la lenta ascesa della dinastia verso le terre del nord.

Magari qualcuno dei suoi discendenti potrà realizzare un giorno un’ibridazione con i Mingo locali, trapiantando così nei nostri omonimi adriatici il gene siculo della genialità incompresa.

Anche in Sicilia comunque all’origine c’è Dominicus, lavoratore agrario. I Mingo lavoravano la terra. In Francia trovo anche un Menigoz, forma regionale della Franche-Comtée, soprannome dato a qualche avo Menegaux intorno all’anno Mille. Menegaux, Menigoz, Menicozzo… è sempre un Domenico che sta alla base.

A questo punto ritorniamo allo spagnolo Domingo, suffragato dalle chiome corvine e fluenti e dal temperamento focoso, da quelle incazzature furiose e incontrollabili che il nonno Nicolò chiamava “botta de sangu”.

Bisognerebbe studiare meglio la storia della Sicilia.

Che peccato che il terremoto del Val di Noto abbia distrutto gran parte degli archivi nel 1693.

Finora le mie ricerche non sono riuscite a risalire più indietro di Matteo Mingo, nato a Noto nel 1768 e morto nel 1806. Per me un quadrisavolo.

Peccato perché invece per esempio con il ramo Montesanto a Nicolosi (quello della bisnonna Lorenza, madre della nonna Margherita Pellegrino) è stato possibile risalire molto più indietro, ho trovato degli antenati nati alla fine del 1600 che appartengono alla settima generazione prima della mia: dei Borzì, dei Pappalardo, dei Longo… mancano all’appello solo i Mazzaglia e si può dire che tutta Nicolosi sia mia antenata.

Mentre con i Mingo la ricerca è più difficile, è una famiglia rara e un po’ criptica.

Ma devo spulciare gli atti di matrimonio e di morte del Settecento, magari verrà fuori un altro antenato, un Corrado nato intorno al 1730 o 1740, e prima di lui un altro Matteo (o un Giuseppe, o un Salvatore, o un Franzo).

Quel che è strano è che i Mingo sono lontani anni anni luce dalla terra, non come pianeta ma come elemento, e questo da parecchie generazioni.

L’unico riferimento orticolo che persiste nella nostra schiatta è un comportamento sociale al limite dell’autismo Asperger, che autorizza i nostri cari e le persone più intime a parlare di “cervello asparagus” per stigmatizzare o perdonare magnanimamente la nostra condotta non sempre in linea con i canoni del bon ton e della frivolezza mondana.

Quale sarà mai stato il percorso attraverso cui un Dominicus lavoratore agrario si è trasformato in un Mingo, intellettuale proteso verso le vette del sapere ma disadattato nella vita pratica – e incapace non solo di zappare, ma finanche di acquistare una fronda di prezzemolo dal verduraio?

La ricerca continua.

Note:

  1. Alcune affermazioni della Mingo sono da prendere con il beneficio dell’inventario. La sua smania di ricostruzione la allontana talvolta dalla retta via del rigore scientifico. San Corrado è il protettore di Noto, quindi l’etimologia proposta è di pura fantasia.

  2. Grosso sito genealogico a pagamento.

  3. Pensiero peregrino: ma nel 1860, una donna che usciva da sola di notte a Noto non era una BOTTANA?

  4. ) Il testo è stato scritto prima della ricerca d’archivio e dell’incursione al cimitero di Noto, ora le date precise sono state ricostruite -vedi alberi genealogici.

  5. Scoprirò poi che in realtà il mio bisnonno è il secondogenito, nato nel 1833 e preceduto dalla sorella Agnese, e che nella fratria c’era anche una piccola Giuseppa (quindi in tutto nove fratelli e non otto), probabilmente morta in tenera età. Inizio così a riflettere sull’impostazione maschiocentrica imperversante e sui bambini morti e rimossi dalla memoria familiare, buchi neri nell’albero genealogico.  « Aïe, mes aïeux !», direbbe la Schützenberger.

6) Le mie impressioni sono soggettive e non implicano mai in ogni caso un giudizio di valore sui miei “parenti” vicini e lontani. Ciascuno ha il diritto di rapportarsi come crede alle proprie origini; un contatto negato è il minimo che si possa mettere in conto quando si conduce una ricerca così diramata e potenzialmente disturbante (vedi anche “A chi appartiene un antenato?”).

7) La Mingo continua a parlare a vanvera, perdonatela, la sua ricerca è ancora agli albori. San Franzo è un martire cristiano venerato nel santuario della Madonna della Scala nei pressi di Noto, perciò molti netini portano il suo nome.

8) Spiridione, nome di origine greca (Σπυρίδων), vescovo di Cipro e patrono di Corfù. Derivato da speiridion, diminutivo di speira, spirale. Un nome di spessore, che ha protetto nel tempo la mia famiglia dall’invasione dei vari Christian, Deborah e Samantha, e che ha aperto la strada alla scelta coraggiosa e impegnativa del nome di mio padre, il vulcanico Archimede dalla mente tecnico-scientifica.